La piscicoltura della tinca, una tradizione antica

La piscicoltura della tinca, una tradizione antica

L’allevamento della tinca è antico. La tinca oltre ad essere pescata nelle acque libere è sempre stata allevata ad anche per questo è uno dei pesci d’acqua dolce tipici della tradizione culinaria padana.

La sua fortuna nella gastronomia popolare va dal Piemonte al Veneto, passando per la Lombardia dei grandi laghi e dall’Emilia del grande Po ed è legata alle ridotte esigenze di ossigeno di questo pesce che si presta ad essere allevato letteralmente dietro casa, in piccoli stagni artificiali o anche in semplici buche.

In passato, quindi, la tinca era uno dei pesci presenti in molte cascine della Pianura Padana, letteralmente uno degli “animali da cortile” che se ne stava a stabulare nello stagno dove sguazzavano anche le anatre e le oche da cortile e dove magari condivideva l’acqua con le carpe, i pesci gatto e, in qualche caso, con le anguille, tutti pesci nutrienti che possono crescere in ambienti stagnanti senza acqua corrente e ricchi di erba acquatiche. Come la carpa e il pesce gatto la tinca è in grado anche di riprodursi dello stagno in cui è allevata, garantendo, quindi, una rigenerazione dello stock allevato.

Questi “pesci da cascina” appartengono tutti a specie che resistono a condizioni di scarsità di ossigeno e di innalzamento della temperatura dell’acqua nei mesi estivi. La scelta è sempre stata ristretta alla carpa, al pesce gatto, alla costosa anguilla (costosa e difficile da comprare allo stadio di anguillina) e, appunto, alla tinca. Se tra queste specie è la carpa a garantire la massima resa in carne (può arrivare in stagno a una dozzina di Kg), la tinca di 80-100 gr è più adatta a una lunga conservazione in carpione essendo un pesce più sottile e un po' meno grasso.

La tinca è onnivora: mangia di notte e preda larve di zanzara e di moscerini (i chironomidi che stanno nel fango), mangia lumachine da acqua stagnante che spesso invadono gli stagni e sanguisughe o planarie. Li scova tutti con i due barbigli, organi di senso fenomenali con cui setaccia il fondo. Ma si nutre anche di semi, erbe acquatiche e ogni altro vegetale ad alto contenuto glucidico e proteico che trova.

Il metodo di allevamento familiare è sempre stato molto semplice. Le tinchette venivano comprate da un altro contadino (o venivano pescate con le reti), poi venivano immesse negli stagni di cascina e lasciate crescere. Ogni tanto venivano raccolte per essere consumate soprattutto il venerdì e durante la Quaresima.

Le tinche venivano lasciate crescere da sole alimentate, di tanto in tanto, con mais e scarti alimentari, soprattutto sfarinati quando non venivano dati ai maiali e alle oche.

L’allevamento intensivo classico è, invece, quello tipico dell’itticoltura. La tinchicoltura viene praticata soprattutto in centro Italia e nel Nord Est. I pesci sono alimentati con mangime industriale pellettato o granulato (a seconda degli stadi di accrescimento) specifico per ciprinidi (carpe e tinche). È composto soprattutto da carboidrati e composti proteici derivati da farine animali addizionati con vitamine. L’obiettivo dell’allevamento industriale è la velocità di accrescimento per raggiungere la taglia commerciale che, in tutta Italia è sui 3-400 grammi.

Tinca Gobba Pianalto di Poirino

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